Biografia

Roberto Kusterle_foto di Elisabetta PesentiFotografia di Elisabetta Pesenti

Roberto Kusterle nasce nel 1948 a Gorizia, dove vive e lavora.
Attivo dagli anni Settanta nel campo delle arti visive, si dedica alla pittura e alle installazioni fino all’incontro con la fotografia, che elegge strumento ideale della propria ricerca espressiva.
Le sperimentazioni degli anni successivi portano alla luce i temi essenziali della sua poetica: la continuità tra i mondi umano, animale e vegetale, il ruolo mediatore del corpo, la negazione dello sguardo, l’esercizio costante dell’ironia, dell’ambiguità e dello spiazzamento per dare forma a un’idea e stimolare l’osservatore a interrogarsi.
L’uso della fotografia è finalizzato a mantenere viva la tensione tra finzione e realtà. L’approccio dell’artista allo strumento è molto personale; lo scatto, infatti, rappresenta solo l’ultima azione di un percorso creativo complesso e articolato.
Nel corso degli anni 90 Kusterle abbina la ricerca di un equilibrio formale dell’immagine al ricorso a emulsioni fotosensibili, resine, vetro ed elementi naturali, per creare installazioni e oggetti fotografici tridimensionali.
Nel 2003, alla Galleria Regionale d’Arte Contemporanea Luigi Spazzapan di Gradisca d’Isonzo (GO), presenta il ciclo Riti del corpo, in cui il legame fra l’uomo e il mondo animale è celebrato attraverso il prestito e lo scambio mimetico di occhi, teste, chiome. I corpi sono ricoperti di argilla, d’impronte, riproducono il disegno di un mantello o caratteri alfanumerici, aprendo a una dimensione linguistica familiare e al tempo stesso indecifrabile.
Il lavoro successivo è Αναχρονος (Anakronos), realizzato tra il 2004 e il 2006, nel quale il raggio d’azione dei suoi soggetti si estende, rivelando i mondi da cui essi provengono o che plasmano, ciascuno secondo la propria logica. Prati, stagni, alvei di fiumi in secca del paesaggio goriziano diventano teatri fantasmagorici e surreali.
Fra il 2008 e il 2009, Roberto Kusterle e il film-maker Ferruccio Goia progettano e realizzano alcuni cortometraggi sperimentali. Si tratta di progetti indipendenti, che aggiungono spessore temporale e processualità ai temi e alle atmosfere esplorati in fotografia (Homage St. Elizabeti Turingijski, Looking in the Eyes, Dancing Water del 2008 e Stabat Mater, 2009), che mettono in questione il rapporto fra lavoro umano e paesaggio industriale (The Last Night, 2009) o che, come nel documentario Domenica dei fiori (2008), individuano nella realtà stessa rituali, attese e codici.
Nel 2009 espone per la prima volta negli Stati Uniti, presentando presso la Wook & Lattuada Gallery di New York la serie Mutazione silente, nuovamente esposta nel 2011 presso la Garden of the Zodiac Gallery di Omaha (Stati Uniti), in occasione di una mostra personale. È un ritorno alla fotografia in studio, a un’atmosfera intima e raccolta che rende possibile il dialogo muto fra figure femminili ed elementi vegetali, ritratti metafisici intervallati dalla comparsa di fiori torreggianti, composti a loro volta da miriadi di corolle, frutti e foglie.
Il complesso lavoro d’ideazione, ricerca e creazione di veri e propri costumi di scena e set fotografici che si cela dietro ogni opera di Kusterle, riceve un nuovo impulso con l’adozione delle tecniche digitali di elaborazione grafica. Il primo esempio è la serie Mutabiles Nymphae presentata alla Mestna galerija di Nova Gorica (Slovenia) nel 2010, in cui il mondo marino cinge con garbata eleganza abiti e corpi di ninfe senza tempo.
Con un nuovo cambio di prospettiva, Kusterle dà in seguito forma al ciclo Segni di pietra (2011), esposto dapprima a Spilimbergo (PN) e poi nella Galleria Antonio Nardone di Bruxelles nel 2013. Al consueto uso di argille per siglare il rapporto del corpo umano con la terra, l’artista aggiunge la riproduzione di crepe e fratture sulla pelle, la fusione plastica dei personaggi con l’elemento roccioso fino a creare novelli reperti archeologici. La ricerca continua anche nella serie La struttura delle apparenze (2012), in cui la figura umana è esposta, lasciata apparentemente sola: nessun elemento animale o vegetale la completa, la stessa pietra è tornata piedistallo. Le pose lontane da ogni classicismo conferiscono un potere assoluto e misterioso al corpo, che assume sembianze marmoree.
Nelle opere de I segni della metembiosi (2012-13) torna a scorrere una vitalità onirica e grottesca. La fotografia svela le impalcature e gli innesti che mantengono i protagonisti in equilibrio, nel rapporto metamorfico e simbiotico fra uomo, mondo vegetale e animale.
La serie Abissi e basse maree (2013), l’artista restituisce corpi ricchi di riflessi, di concrezioni minerali, di alghe, di abbracci, in sintonie accordate dalla lunga permanenza sott’acqua. L’inquadratura invita a immergersi nel sogno per proseguire oltre i margini dell’immagine; i corpi affiorano trasformati, custoditi, nutriti dal mare, come di ritorno da un lungo viaggio.
Il legame fra uomo e natura, concetto pervasivo che accomuna tutta la produzione artistica di Kusterle, appare evidente e dominante anche nell’ultima serie de L’abbraccio nel bosco (2014). Si tratta d’immagini che raffigurano misteriosi boschi di latifoglie, in cui alberi, tronchi, muschi e pietre si fondono e s‘intrecciano con i corpi di uomini e donne, talvolta “addormentati” in abbracci sognanti. Sono momenti di straordinario Pathos dove il Kairos, il “tempo” delle opportunità nel quale “qualcosa” di speciale accade, riporta l’essere umano alla sua originale essenza.

Stefano Chiarandini

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