«Io intendo presentare il personaggio emblematico poeticamente perché esso è un terminale di sentimenti.» (Dialogo fra Anzil e Tito Maniacco, in Anzil, catalogo della mostra, Pordenone, 1990, p. 15). Con queste parole Anzil G. Toffolo (Monaco di Baviera, 1911 – Tarcento, 2000) si espresse in riferimento alla sua predilezione per la figura umana. Ed è proprio l’uomo il filo conduttore di questa mostra, dal titolo I PERSONAGGI DI ANZIL a cent’anni dalla sua nascita, che il Comune di Cividale del Friuli e l’Associazione Culturale “Venti d’arte” di Udine dedicano al grande pittore friulano.
Il confronto del maestro con questa tematica raggiunge il culmine durante la fase neorealista (1946-1956), cui è dedicata un’ampia sezione dell’esposizione. Gli anni della guerra e l’esperienza della Resistenza, con i drammi e le sofferenze conseguenti, determinarono una svolta espressiva ed iconografica nella produzione dell’artista, sino a quel momento rivoltosi alla riproduzione di fiori, nature morte e paesaggi. E’ in questo periodo, infatti, che irrompe in Anzil, quasi fosse un obbligo, la necessità di impegnarsi nella causa degli “ultimi” attraverso la pittura; ecco che compaiono nelle sue opere i fucilati, gli emigranti, i contadini, i boscaioli e le vittime degli avvenimenti contemporanei (il disastro di Marcinelle, l’alluvione del Polesine, ecc.). Sradicati dalla dimensione passiva assegnatagli dalla storia, questi personaggi divengono gli attori-protagonisti del racconto di Anzil; allontanati dal rischio di essere sottoposti ad una lettura sentimentale e populista, essi sono elevati ad una dimensione eroica, di cui sono espressione le grandi proporzioni assunte dalle figure all’interno dei quadri.
Si veda, a proposito, La famiglia del licenziato (1952), un’interpretazione dolorosa e profana della “Sacra Famiglia”; da uno sfondo grigiastro e tetro, emerge un uomo, appena privato del suo lavoro, che presenta all’osservatore la moglie e i due figli, vittime innocenti di una realtà ingiusta. Sui loro volti, quasi incolori ed emaciati, si legge un’espressione di tristezza e rassegnazione; quegli sguardi malinconici, allo stesso tempo, interrogano lo spettatore, quasi a richiederne una presa di posizione rispetto alla loro condizione. Le mani della donna, ingrandite e mascoline, divengono l’emblema del dramma e del turbamento della famiglia. L’universalità di questa immagine, inoltre, la rende allegorica delle tribolazioni della società odierna, investita dalla crisi economica.
La tensione che traspare nei personaggi del Neorealismo si ritrova anche nei ritratti e negli autoritratti di Anzil. Se nei primi esempi l’emotività del pittore è trattenuta in una linea composta ed ancora accademica (Mio padre, 1936), poi essa divampa violentemente, come nell’Autoritratto della fine degli anni Ottanta, dove il colore si sfrangia e i contorni sono indefiniti.
A calamitare l’attenzione dell’osservatore nelle figure di Anzil oltre alle mani, sono gli occhi, “cavità magiche” – per riprendere i termini usati dall’artista – che ci permettono di esplorare l’intima essenza del personaggio ritratto e, allo stesso tempo, di lasciarci penetrare dal suo sguardo indagatore. Se osserviamo gli occhi dell’Autoritratto del 1951, riusciamo ancora a distinguere l’iride scura dalla sclera bianca, mentre nella “grande testa” (Autoritratto, s.d.), il colore nero invade tutto il bulbo oculare, indice di un annebbiamento della vista, forse dovuto alla cecità che afflisse il pittore nell’ultima fase della sua vita.
Intorno al 1963, deluso dalla realtà contemporanea e dai suoi mancati risvolti e sulla scia delle sperimentazioni artistiche internazionali, Anzil si dedicò all’informale; questo momentaneo divorzio dalla figura umana, tuttavia, non durò a lungo, poiché essa ricomparve negli Incontri degli anni Settanta e nel Dante (1986-1988), cui sono dedicate rispettivamente la sezione iniziale e quella finale della mostra.
Diverse sono le caratteristiche che accomunano le due serie: l’atmosfera stregonesca, la dimensione corale, l’imbrunimento della tavolozza dai toni cupi o rosso-brunastri, nonché l’ispessimento e la matericità delle spatolate di colore.
Negli assembramenti dei personaggi inquietanti e misteriosi degli Incontri, Anzil ripone i propri interrogativi esistenziali e metafisici, spesso espressi nei titoli dei quadri (vedi Andare…, Venire…, Tornare…, Sparire…, s.d.), mentre il Dante rappresenta per l’artista l’occasione di mettere a nudo, attraverso il pennello, i vizi e le depravazioni dell’umanità, come il grande poeta italiano aveva fatto nei versi della Divina Commedia.
In mostra saranno presentate opere appartenenti alla figlia del pittore Luigina Toffolo e ad altri collezionisti privati.
I testi critici sono a cura di Alice Collavin e di Elisa Volpetti